Campo di concentramento di Varsavia
Il campo di concentramento di Varsavia (in tedesco Konzentrationslager Warschau, o semplicemente KZ Warschau, colloquialmente noto come Gęsiówka[1]) è stato un campo di concentramento della Germania nazista nella Polonia occupata che operò tra il luglio 1943 e il luglio 1944. Era situato internamente al ghetto di Varsavia.
Nel corso della sua operatività, si stima che siano stati ospitati circa 8000-9000 prigionieri usati in condizioni durissime come forza lavoro per lo smantellamento degli edifici del ghetto[2]. Si stima che circa 4000-5000 prigionieri siano morti nel campo, nella marcia della morte per il trasferimento finale a Dachau o nella rivolta di Varsavia[2]
Negli anni 1970 è stata proposta una teoria per cui il campo sarebbe stato un campo di sterminio per polacchi non ebrei, avanzata dal giudice Maria Trzcińska e secondo la quale sarebbero state uccise 200000 persone[3]. Questa teoria non ha trovato riscontro nelle fonti e non è accettata dagli storici[3][4].
Storia
Nel febbraio 1943, Heinrich Himmler ordinò che gli ebrei locali fossero piazzati in un campo per forzarli a collaborare nei lavori di demolizione del ghetto di Varsavia, ma i feroci combattimenti della rivolta del ghetto di Varsavia fecero saltare questi piani.[5] Dopo che la rivolta fu soffocata gli ebrei sopravvissuti furono deportati in campi della zona di Lublino, inviati a Treblinka o uccisi sommariamente sul posto[5] Il campo di concentrazione venne ufficialmente aperto il 19 luglio 1943[6], ma i suoi prigionieri erano ebrei provenienti da altri campi di concentramento in Europa, non ebrei di Varsavia.[5] I tedeschi temevano che gli ebrei potessero fuggire e nascondersi tra i polacchi così rinchiusero nel campo di concentramento di Varsavia ebrei lituani, greci, francesi e altri[7] In tutto nel campo furono imprigionati circa 10000 prigionieri.
Il comandante del campo fu fino al settembre 1943 l'SS-Hauptsturmführer Nikolaus Herbet, quindi dall'SS-Hauptsturmführer Nikolaus Herbet e infine dall'SS-Obersturmführer Wilhelm Ruppert[6] Quattro ditte edili tedesche (Merckle, Ostdeutscher Tiefbau, Berlinisches Baugeschäft e Willy Keymer) furono incaricate dei lavori nel ghetto, usando la forza lavoro costituita dai prigionieri ebrei[6]. Il campo era situato intorno alla prigione della Gestapo (Gęsiówka), che era il solo edificio rimasto intatto nel ghetto.[8]. Nell'aprile 1944 il campo divenne un sottocampo del Campo di concentramento di Majdanek e assunse il nome di Konzentrationslager Lublin–Arbeitslager Warschau ("campo di concentramento di Lublino - campo di lavoro di Varsavia")[6]
Tra l'agosto e il novembre 1943 arrivarono quattro convogli da Auschwitz con 3683 prigionieri. Ulteriori prigionieri (tra i 4000 e i 5000) furono portati dall'Ungheria dopo la metà del maggio 1944[9]. I prigionieri dovevano essere in condizioni fisiche in grado di sopportare il pesante lavoro e di origini non polacche per evitare che fraternizzassero con gli impiegati lavorano nella zona e che potessero sfruttare la conoscenza della lingua per nascondersi in caso di fuga.[6] Comunque parte dei prigionieri polacchi immigrati ad occidente e nel trasporto del novembre 1943 i tedeschi erano stati obbligati ad includere 50 ebrei polacchi per raggiungere la quota di 1000 prigionieri[6].
Il compito dei prigionieri era di demolire completamente gli edifici del ghetto demolendo completamente gli edifici ancora in piedi, separando i vari materiali come mattoni e il ferro e impilandoli per essere poi trasferiti su camion[9]. Per l'epoca della chiusura del campo avevano demolito completamente un'area di 10 km², raccolto 3 milioni di mattoni, 6000 t di rottami metallici, 1600 t di ferro e 805 t di metalli non ferrosi[9]. Il duro lavoro, svolto in gran parte a mani nude, o al massimo con pala e piccone, la durezza delle condizioni imposte dai nazisti, il clima freddo e il fisico già provato dei prigionieri imposero un pesante tributo di vite umane[9]. Altre vittime furono mietute nell'inverno del gennaio-febbraio 1944 un'epidemia di tifo esantematico. I malati venivano piazzati in dormitori isolati, dove venivano lasciati su barelle poggiate a terra, senza né cure, né cibo[9]. Per il marzo 1944 circa il 75% dei prigionieri era morto e le autorità tedesche autorizzarono un nuovo trasferimento di prigionieri per completare il lavoro[9].
Chiusura del campo
La chiusura del campo prevista per il 1º agosto 1944 fu anticipata a luglio causa dell'avanzata dell'Armata Rossa.[2] Il 28 luglio 1944 circa 4500 prigionieri furono forzati a una marcia della morte verso Kutno a 120 km ad occidente[2]. La marcia durò tre giorni sotto il sole estivo e le guardie delle SS uccisero i prigionieri che non stavano al passo o uscivano dai ranghi[2]. Il 2 agosto i prigionieri furono ammassati su vagoni merci e inviati in un viaggio di 750 km verso Dachau. Non più di 4000 prigionieri arrivarono a Dachau il 6 agosto[2].
Prima della marcia circa 200 dei prigionieri in condizioni fisiche peggiori furono uccisi. Rimasero 300 che si erano offerti volontari per smantellare il campo.[2] Allo scoppio della Rivolta di Varsavia rimanevano circa 350 ebrei prigionieri, che furono liberati per il 5 agosto dalle forze polacche, tra cui dozzine, comprese 24 donne, che erano imprigionati nella prigione di Pawiak[2]. Molti prigionieri liberati si offrirono per combattere nella rivolta, comunque alcuni furono uccisi da polacchi antisemiti[2]. Dopo la sconfitta della rivolta i sopravvissuti fuggirono o si nascosero nei bunker. Quando l'Armata Rossa prese Varsavia il 17 gennaio 1945 trovarono circa 200 sopravvissuti ebrei[2].
Alla fine degli anni quaranta otto soldati delle SS furono condannati a morte per l'omicidio di prigionieri del campo[2] Nel 1950 il primo infermiere del campo, Walter Wawrzyniak, fu condannato a morte da una corte di Lipsia, pena commutata in ergastolo in appello[2]. La corte distrettuale del distretto orientale della Pennsylvania ritirò la cittadinanza a Theodor Szehinskyj nel luglio 2000, dopo che emersero prove del suo passato nelle Waffen SS, tra cui il campo di concentramento di Varsavia[2].
Il campo nel 1945
Dopo che i sovietici presero Varsavia nel gennaio 1945, il campo continuò ad operare come prigione di guerra controllata dapprima dall'Unione Sovietica e poi dal Ministero della Pubblica Sicurezza polacco sotto la cui gestione è rimasto fino al 1954 (gli ultimi prigionieri lo lasciarono nel 1956). È stato questo il secondo maggiore campo di prigionia di guerra dopo quello di Mokotów[10].
Teoria del complotto
Nonostante le ricerche disponibili sul campo,[11][12] una leggenda[11] o teoria del complotto[3][13] si sviluppò in Polonia riguardo al campo.[3][11] Questa fu proposta inizialmente dal giudice e scrittrice Maria Trzcińska negli anni 1970 e promossa da polacchi che sostenevano che il campo fosse molto più grosso e fosse stato usato come campo di sterminio per i cittadini polacchi di Varsavia. In particolare si congetturò che una camera a gas gigante fosse stata costruita all'interno del tunnel stradale Józef Bem (nei pressi della stazione di Warszawa Zachodnia) e nel quale sarebbero stati uccisi 200000 polacchi[3]
Il giornale nazionalista Nasz Dziennik ha propalato la teoria sul campo di concentramento come un simbolo del martirio polacco, pretendendo che fosse introdotta nei programmi scolastici e a suo sostegno fosse costruito un museo. A differenza di altri campi di concentramento come Auschwitz, per i quali esistono studi storici approfonditi e documentati, il campo di Varsavia è quasi assente dalla storiografia e questo ha lasciato ampio spazio per la diffusione di questa teoria.[14] Il numero di 200000 vittime polacche non è considerato casuale, in quanto eguaglia quello degli ebrei del ghetto di Varsavia deportati nei campi di concentramento e potrebbe quindi mirare a minimizzare o ridurre il peso dello sterminio ebraico. Esistono prove che questi dati siano stati diffusi dall'ultradestra nazionalista polacca.[4]
Note
- ^ Dal nome della via cui si trovava, vedi Finder 1999, p. 1512
- ^ a b c d e f g h i j k l m Finder 1999, p. 1514.
- ^ a b c d e (EN) Christian Davies, Under the Railway Line, in London Review of Books, vol. 41, n. 9, 9 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 5 ottobre 2019).
- ^ a b La grande bufala di Wikipedia sul campo di sterminio a Varsavia, su Il Post, 4 ottobre 2019. URL consultato il 4 ottobre 2019.
- ^ a b c Pohl 2009, p. 156.
- ^ a b c d e f Finder 1999, p. 1512.
- ^ Tessler 1999, p. 65.
- ^ Sofsky 1993, p. 337.
- ^ a b c d e f Finder 1999, p. 1513.
- ^ Vedi: Bankier.pl Archiviato il 23 luglio 2012 in Archive.is.
- ^ a b c (EN) Stephan Lehnstaedt, Review: New Polish Research on German Violent Crimes in the Second World War, in Sehepunkte, n. 6, 2010. URL consultato il 10 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale il 7 ottobre 2019).
- ^ M. Trzcinska: Konzentrationslager Warschau, H-Soz-Kult, Andreas Mix (Center for Research on Antisemitism), 2003
- ^ KL Warschau jak katastrofa smoleńska, czyli manipulacja pamięcią, FELIETON CHOMĄTOWSKIEJ, Gazeta Wyborcza, Beata Chomątowska, 18 April 2017
- ^ (EN) Hanna Maria Kwiatkowska, Conflict of images. Conflict of memories. Jewish themes in the polish right-wing nationalistic press in the light of articles from nasz dziennik 1998-2007 (PDF) (Diss. University of London), 2008, pp. 67, 82-88.
Bibliografia
- (PL) T. Berenstein, A. Rutkowski: Obóz koncentracyjny dla Żydów w Warszawie (1943-1944), in: "Biuletyn Zydowskiego Instytutu Historycznego", No. 62, 1967
- (EN) Gabriel N. Finder, Warschau Main Camp, in Geoffrey P. Megargee (a cura di), Encyclopedia of camps and ghettos, 1933–1945, vol. I Part B, Bloomington e Indianapolis, Indiana University Press, 2009, ISBN 978-0-253-35328-3.
- (EN) Dieter Pohl, The Holocaust and the concentration camps, in Jane Caplan e Nikolaus Wachsmann (a cura di), Concentrantions camps in nazi germany - The New Histories, Londra e New York, Routledge, 2009, DOI:10.4324/9780203865200, ISBN 978-0-203-86520-0.
- (PL) Cz. Rajca: Podobozy Majdanka, in: Majdanek 1941-1944. Red. T. Mencel. Lublin 1991
- (EN) Wolfgang Sofsky, The order of terror: the concentration camp [Die Ordnung des Terrors. Das Konzentrationslager], Princeton, Princeton University Press, 1993, ISBN 0-691-04354-X.
- (EN) Rudolph Tessler, Letter to My Children: From Romania to America Via Auschwitz, University of Missouri Press, 1999.
- (PL) Maria Trzcińska, Obóz zagłady w centrum Warszawy, Polskie Wydawnictwo Encyklopedyczne, Radom 2002, ISBN 83-88822-16-0
- (PL) Informacja o ustaleniach dotyczących Konzentrationslager Warschau - Institute of National Remembrance, giugno 2002, su wilk.wpk.p.lodz.pl. URL consultato il 21 maggio 2008 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2007).
- (PL) Informacja o śledztwie w sprawie KL Warschau - Institute of National Remembrance, maggio 2003, su ipn.gov.pl. URL consultato il 1º ottobre 2013 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2006).
Voci correlate
Altri progetti
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- Wikimedia Commons
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Collegamenti esterni
- (DE, EN) KZ Warschau, su deathcamps.org.
- (EN) Gęsiówka – a prison and Nazi concentration camp on the Gęsia Street, su sztetl.org.pl.
- (EN) Warsaw Concentration Camp, su Holocaust Historical Society, 2014.
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